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Moliere in un ritratto di Pierre Mignard, 1658 circa. |
Pare che, fuori dalla scena, Molière (1622-1673) fosse
di poche parole e avesse un carattere non particolarmente allegro, ma fu autore
e interprete di commedie che vennero considerate dei classici già dai suoi
contemporanei e che vengono oggi rappresentate per la loro attualità nel
descrivere situazioni e caratteri, che –tolte le circostanze specifiche in cui
si sono originati- ci appaiono ancora universali.
Sebbene all’inizio della sua carriera teatrale avesse
desiderato di essere un attore tragico, le sue abilità comiche ebbero la meglio
e i suoi progetti cambiarono. Oltre che drammaturgo ammirato per i suoi finissimi versi e capocomico, infatti, fu
un attore comico molto stimato dai contemporanei per la presenza scenica e la
straordinaria espressività del volto.
E’ ragionevole pensare che le sue capacità di attore abbiano
influenzato la sua scrittura, poiché scrisse per sé stesso molti ruoli, a cui
la sua energia e la sua mimica potessero dare corpo. Esplorò ruoli differenti:
il collerico, il servitore, il borghese sciocco, il marito dominato dalla
moglie, il vecchio superstizioso.
Nelle sue opere, la vitalità del personaggio prevale
sulla trama e talvolta anche sul rispetto delle regole aristoteliche di unità
di luogo, di tempo e di azione, che nel XVII secolo erano considerate
imprescindibili (come spesso capita, i grandi autori fanno e disfano le regole).
Nonostante le critiche (letterarie o morali), a volte
feroci, e le censure, che bloccarono le repliche di alcune sue commedie, Molière impose un nuovo stile di recitazione, privo della pomposità allora tanto in
voga nei teatri, più vicino alla naturalezza quotidiana; uno stile che
implicava una differente scrittura, poiché il linguaggio, contrariamente alla
consuetudine del tempo, si adattava alle caratteristiche del personaggio (un
servitore ignorante non poteva esprimersi con gli stessi modi di un medico o di
un intellettuale), facendo così prevalere la verosimiglianza sulla pedissequa perfezione
della forma.
Molière rivendicò la verosimiglianza come
caratteristica propria della commedia: nella Critica della Scuola delle mogli (scritta per difendere la sua
commedia La scuola delle mogli), affermò
che, se la tragedia può essere eroica, nella commedia non si ottiene nulla a
meno che non si tratteggino dei personaggi che il pubblico riconosca vitali,
veritieri. <<Far ridere la gente –scrive Moliere- è uno strano
lavoro>>.
Venne aspramente criticato anche per Don Giovanni e Tartufo e a difesa di quest’ultimo, scrisse una lettera al re Luigi
XIV (Lettre sur la comédie de l’Imposteur
), in cui esponeva il suo concetto di commedia.
<<Il comico è la forma di generosità esteriore
e visibile che la natura ha associato ad ogni cosa irragionevole, cosicché
possiamo riconoscerla ed evitarla. Per conoscere il comico, dobbiamo conoscere
il razionale, del quale esso denota l’assenza […] l’incongruenza è il cuore
della comicità.>>
Molière afferma che la comicità sorge dalla
possibilità di confrontare simultaneamente il razionale e l’irrazionale,
cogliendo l’assurdità delle situazioni e delle azioni dei personaggi.
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Scena dal Misantropo in una stampa del XVII secolo |
Un’altra peculiarità della sua scrittura è la commistione
di registri diversi, anche nel medesimo personaggio. Il personaggio creato da
Molière ha ovviamente una sua storia e sue motivazioni, ma a tratti è richiesto
all’attore che lo interpreta di dimenticarsene o di calcare la mano sul ruolo
stesso, passando dinamicamente da un gioco scenico all’altro.
La commistione è utilizzata anche per ottenere determinati
effetti negli spettatori, p.es. l’indifferenza alle sofferenze dell’Avaro
derubato, dovuta al contrasto tra la penosa situazione e il suo linguaggio
aggressivo, o l’amarezza che nel Misantropo
è generata dal confronto tra giustizia ideale e giustizia istituzionale, che
non sempre coincidono.
Il motivo per cui Molière venne spesso attaccato, in
maniera più o meno formale (e con conseguenze più o meno gravi), risiede in alcuni
temi presenti nelle sue opere.
La scuola delle
mogli (1662) scatenò la polemica su un tema di grande interesse in quel
periodo: l’educazione femminile. Nella commedia, la protagonista, cresciuta in
un ambiente repressivo, prende in mano la propria vita agendo contro il parere
del suo tutore. L’inno all’amore per la vita e all’emancipazione femminile
venne visto come una minaccia alla morale e alla religione.
Il “partito dei devoti” contrastò aspramente anche Tartufo (1664), per la denuncia dell’ipocrisia
religiosa e della falsa devozione che emerge dalla vicenda.
Il ruolo della religione nell’etica e nella morale
ipocrita della società del suo tempo compare anche in Don Giovanni (1665), mentre nel Misantropo
(1666) si rappresenta la spietatezza e la superficialità del mondo
aristocratico parigino. Il malato
immaginario (1673) sbeffeggia la medicina antiquata e oscurantista del XVII
secolo.
Molière spesso raffigura personaggi tragici, anche se
resi ridicoli da quel gioco delle contraddizioni in cui è così abile, e oppone,
alla stantia morale delle apparenze, un’etica del buon senso, che non riesce a
trovare un punto d’incontro con le radicate convenzioni sociali.
Bibliografia:
www.britannica.com
Giorgio Sale, Introduzione,
Il teatro, vol.12 Molière, Il Giornale
Immagini:
www.britannica.com