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Orestea di Luca Ronconi. Marisa Fabbri nel ruolo di Clitemnestra |
Luca Ronconi (1933-2015) rappresentò l’Orestea di Eschilo nel 1972, cambiando il modo di rappresentare la
tragedia greca in Italia.
La scelta di mettere in scena l’intera trilogia in un’unica serata, in
sette ore di spettacolo, oltre che impegnativa era innovativa. Dalle parole
dello stesso Ronconi, la scelta << sottintende l’interesse ad un discorso
sul pensiero mitico. […] L’opera di Eschilo non viene considerata un blocco
monolitico, ma, secondo il principio di discontinuità, un insieme disuguale che
dia luogo a uno spettacolo scrupolosissimo, rispettoso del testo stesso ma
fatto di tanti prismi, di dissimili frammenti, destinati a ricostruirsi in un
tutto alla fine della mente dello spettatore.>>
Lo scrupoloso rispetto del testo inizia dalla traduzione letterale di
Mario Untersteiner, mentre il rilievo attribuito al pensiero mitico indica una predilezione per una lettura
antropologica del testo stesso, piuttosto che per una lettura psicologica, nel
tentativo di compiere un viaggio a ritroso alle origini pre-classiche del mito
e ricostruirne le trasformazioni.
La guerra di Troia, lo scontro tra Occidente e Oriente, nell’opera di
Eschilo, vede il trionfo della democrazia ateniese; nell’interpretazione di
Ronconi, a vincere è l’ideologismo di parte, che finisce col rendere schiavo
Oreste, immagine dell’uomo moderno.
Oreste non ha possibilità di salvezza, devastato interiormente dalla
perdita d’identità ed esteriormente dalla perdita della storia.
Il principio di discontinuità,
spiega De Marinis è <<un procedimento drammaturgico che, mediante la ripetizione e la simultaneità, infrange lo sviluppo lineare ed unitario della
vicenda, cercando così di impedire ogni attitudine acritica ed immedesimativa
dello spettatore nei confronti dell’evento teatrale.>>
La macchina scenica e la recitazione sostengono tale procedimento.
Lo spazio scenico è
concepito per essere mutevole.
Un piano rettangolare di legno, oscillante sul suo asse trasversale,
manovrato a vista, sul quale irrompono due montacarichi che costituiscono altri
luoghi dove si svolge l’azione, è lo scenario della prima tragedia.
Per la seconda, Ronconi restringe lo spazio dentro le mura di una casa
e il palcoscenico rimane stabile.
La terza tragedia è collocata per le vie di una città, in cui la
macchina scenica torna a muoversi, ma in maniera più lineare e funzionalistica.
Il cambiamento segna il passaggio culturale dal passato caotico
originario, alla stabilità di una cultura civilizzata, fino ai movimenti
ordinati di una città che potrebbe anche essere futura.
L’utilizzo di oggetti simbolici ha quasi la funzione di integrare il
linguaggio, di cui si preferisce enfatizzare i suoni, i significanti, rispetto
ai significati.
Secondo Ronconi: << ogni concetto enunciato dovrà trovare una
corrispondenza visualizzata nell’esercizio di una determinata attività, come
nell’esibizione o nell’utilizzazione di particolari oggetti o simulacri
allusivi.>>
Alcuni esempi: la terra (simbolo della madre) che rotola giù per la
scala all’ingresso di Clitemnestra nell’Agamennone;
la sagoma di pane di Ifigenia, che viene fatta a pezzi e mangiata dal coro,
come per una comunione; la farina (simbolo della casa), su cui Oreste lascia le
impronte nelle Coefore; i manichini
senza volto, che rappresentano i giudici dell’Aeropago nelle Eumenidi; il letto d’ospedale (simbolo
di un male esistenziale), sul quale Oreste attende il verdetto.
Il lavoro sull’attore
destruttura la tradizione precedente che interpretava la tragedia con una
solennità non più comunicativa. Ronconi cerca la potenza espressiva originaria
della parola, capace di suonare come nuova,
di generare stupore. Lavoro affidato soprattutto alla recitazione di Marisa
Fabbri, nel ruolo di Clitemnestra. Nell’ Agamennone
il suo modo di parlare è lento e spezzato, come se le parole venissero
pronunciate per la prima volta nella storia umana, come se nascessero in quel
momento da un’ispirazione divina.
Sublime anche l’interpretazione di Mariangela Melato, nel ruolo di
Cassandra. Quadri la descrive così: << Quando disserra la bocca nel primo
dei suoi lamentosi e dolcissimi ahimè,
scopre una nuova dimensione sonora, proiettata verso le note alte e
ostinatamente vicina al canto monodico…fino al gemito o alla pura
sonorità.>>
Nelle Coefore e nelle Eumenidi, Marisa Fabbri si esprime con
moduli recitativi più quotidiani, riabbracciando una interpretazione
psicologica che nell’Agamennone era assente.
È Glauco Mauri, nel ruolo di Oreste, a farsi interprete di uno stile
recitativo più consueto, naturalistico, il ritmo delle sue parole è più veloce e il tono a
tratti melodrammatico. Oreste non rappresenta un principio divino, ma un individuo
umano. Nelle Coefore Glauco Mauri
indossa abiti moderni e nelle Eumenidi,
dove appare invecchiato, il suo grosso cappotto lo fa assomigliare ad un personaggio
di Beckett. Come in Beckett, al termine della vicenda, Oreste non riesce a
proferire parola.
Ronconi disegna una sorta di linea parabolica della comunicazione:
dalla nascita della parola come espressione divina, al suo uso retorico ed
ideologico (simboleggiato nella dialettica di Apollo e di Atena), allo
svuotamento di significato della contemporaneità.
Allegati:
L'Orestea di Ronconi è stata ripresa per la televisione e trasmessa dalla Rai.
Nei seguenti video è possibile vedere (o rivedere) parte dello
spettacolo:
Immensa Melato, da brivido! Io la adoro! (N.d.R.)
Bibliografia e Sitografia
F. Gavazzi, Il lavoro sullo
spazio e sull’attore nell’Orestea. In AA VV, Luca Ronconi e il suo teatro, 1991, Pubblicazioni dell’I.S.U. Università
Cattolica, Milano
L’immagine è tratta dall’ Archivio
multimediale degli attori italiani, 2012, Firenze University Press, Firenze
Per i video:
www.youtube.com
Per approfondimenti:
M. De Marinis, Avanguardia e
tradizione: l’Orestea di Luca Ronconi, “Rendiconti”, fascicolo 26/27,
gennaio 1974, p.151
C. Milanese, La realtà del
teatro, 1973, Feltrinelli, Milano
F. Quadri, Il rito perduto,
1973, Einaudi, Torino
http://www.lucaronconi.it/mostraronconi_scheda.asp?num=21