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Birdman. Michael Keaton nel ruolo di Riggan Thomson. |
Birdman è un film di
Alejandro Gonzales Inarritu, già perché parlare di Birdman in un blog sul teatro? Perché è ambientato a Broadway
durante le prove di uno spettacolo teatrale e quindi già solo per questo merita
la mia attenzione e di quelli -come me- a cui basta vedere quattro assi di
legno per terra per iniziare a declamare versi più o meno immortali o per
immaginare altri mondi, o -per meglio dire- per entrarci in quei mondi, gli
unici che interessano davvero a chi ama il teatro, gli unici che esistono
davvero per chi il teatro lo “fa” come Mike Shiner, il personaggio interpretato
da Edward Norton, che si sente a suo agio e dichiara di
poter essere “vero” solo sulla scena.
Il rapporto tra realtà e
finzione attraversa tutto il film.
Riggan Thomson, il personaggio splendidamente interpretato da Micheal
Keaton, sa volare davvero? Sposta davvero gli oggetti col pensiero? Parla
davvero con il personaggio del supereroe che lo aveva reso famoso e ricco negli
anni ’90 (Birdman, appunto)? E soprattutto Riggan è un vero attore o solo un
cialtrone che a suo tempo ha avuto un gran bel colpo di fortuna?
Il personaggio attraversa una crisi d’identità; fallito come marito,
come padre, come attore, si gioca il tutto e per tutto dirigendo e interpretando
uno spettacolo tratto da Di cosa parliamo
quando parliamo d’amore? di Raymond Carver.
Il teatro è il luogo del
suo riscatto.
Un luogo che viene contrapposto al cinema quando qualcuno insinua che
sia meno rischioso per un attore, data la sua minore visibilità, in realtà non è
certo un posto adatto ai pavidi: non ci sono nascondigli, il corpo dell’attore
è presente sulla scena davanti al suo pubblico e la reazione del pubblico è
palpabile. Persino nei corridoi, dietro le quinte, nei camerini dove tutti
entrano senza bussare, l’attore è scoperto, quindi anche le immagini e le voci
interiori “si vedono” e si sentono.
Le emozioni dei personaggi e degli attori che li interpretano tendono
a confondersi. La ragazza di Riggan dice di essere incinta (anche se non lo è) e
il suo personaggio dichiara in un monologo di aver desiderato la maternità.
Mike fa una scenata per avere del vero gin da bere sul palcoscenico e, a quanto
pare, si sente più attratto dalla sua partner durante la finzione scenica,
mentre recitano di essere degli amanti, piuttosto che nella vita reale.
La questione però non è soltanto cosa sia o non sia reale, ma cosa
vada mostrato al pubblico e cosa no.
Si deve dare al pubblico quello che si aspetta? Oppure occuparsi solo
della propria arte?
L’arte e il piacere del pubblico sono compatibili?
Dice Mike (cito a memoria): << La popolarità è la sorellina
zoccola del prestigio.>> e la temibile critica d’arte del New York Times,
col suo sguardo di ghiaccio, rincara la dose indirizzando a Riggan una
definizione spietata: <<Tu non sei un attore, sei una celebrità.>>
Attore e celebrità, come
dire: bravura vs fama. Un dilemma
molto sentito dagli attori, perlomeno da alcuni. Le due cose sono antitetiche?
Riggan è già stato una celebrità, adesso vuol essere riconosciuto come
attore e distanziarsi dal personaggio che sembra perseguitarlo?
Ad un certo punto, però, racconta alla ex moglie di esser stato in
aereo casualmente insieme a George Clooney. Vuoti d’aria, cintura di sicurezza,
invece di comuni preoccupazioni, lui immaginava le prime pagine dei giornali in
seguito all’eventuale disastro: tutti avrebbero parlato solo di Clooney; di lui
non ci sarebbe stata traccia sulla stampa e questa ipotesi lo aveva angosciato
molto più della possibilità di non sopravvivere all’incidente. Quindi forse
rimpiange ancora la gloria perduta?
È il successo che definisce il valore di un artista (e di un uomo)?
Il protagonista teme di essere stroncato dalla critica, teme di non
poter avere la sua occasione di mostrare il proprio talento a causa di un
pregiudizio nei suoi riguardi. Sia Riggan che Mike, in momenti diversi,
affrontano in un bar la autorevole critica teatrale Tabitha Dickinson ed
entrambi contrappongono il lavoro del critico a quello dell’attore. L’attore fa
qualcosa, agisce, mette in gioco tutta la sua vita in una serata, il critico si
limita a guardare, giudica senza “fare”.
Tuttavia, entrambi desidererebbero una critica positiva, un
riconoscimento del loro talento e il giornale offre il vantaggio di essere scritto,
ha facoltà di testimoniare l’effimero lavoro dell’attore, che termina alla fine
di ogni rappresentazione.
Per Riggan, anche il tovagliolino di carta con sopra i complimenti di
Raymond Carver è prezioso, una specie di certificato delle proprie capacità artistiche.
Lo conserva fino alla discussione con Tabitha, quando comprende che i due mondi
–quello dell’arte e quello della critica d’arte- sono disomogenei e allora smette
di preoccuparsene e si concentra sull’essere un attore.
A proposito di giornali, un altro tema presente è il rapporto coi
mezzi di comunicazione e qui è la figlia di Riggan, Sam, ad erudirlo sull’utilizzo
dei social network. Avere migliaia di followers su Twitter, <<questo è il potere.>> dice Sam.
Le nuove star lo sanno: un video bizzarro che gira su internet è più rilevante
di una critica sul New York Times nel
decretare il successo di qualcuno. È un fatto che, persino un autentico artista, senza popolarità, ha poche probabilità di avere una carriera.
La robaccia commerciale che piace al grande pubblico è così
disprezzabile?
Riggan sembra trovare il bandolo della matassa, il pubblico vuole
degli eroi, scene spettacolari e
azioni memorabili e decide di dargliele. Contemporaneamente, esprime la propria
autenticità come attore e come uomo
disperato, con un gesto “plateale” (è il caso di dirlo) che mescolerà verità e
finzione e metterà d’accordo critica e followers.
Alla fine del film, dopo essersi tolto la nuova maschera da supereroe fatta di
garze e cerotti, riesce a volare per
davvero. Forse.
È questo che fanno gli attori: volano. Portano il pubblico sulle ali
dell’immaginazione in ambientazioni straordinarie, attraverso la finzione,
regalano emozioni reali. Ritrovando se stessi.
La visione del film genera perplessità. Almeno all’inizio. È un film
di fantasia? È psicologico? È simbolico? È un documentario? È una commedia o
una tragedia? Ci si chiede: in che modo devo “guardarlo”? Così, ad un certo
punto, lo si guarda e basta (oppure si esce dal cinema, come ho visto fare a
qualcuno).
La struttura stratificata della vicenda, che sembra spargere temi e
situazioni a caso, si intensifica e si ispessisce (come una millefoglie) nel
corso del film, sfuggendo ad una definizione immediata, creando un reset dei pensieri. Arrendiamoci, gli
eroi sono sulla scena, noi siamo gli spettatori, è una questione di ruoli. Se
da una parte è la loro forza ad infonderci ispirazione, dall’altra siamo noi a
dar loro motivo di esistere. In un gioco di reciproca manipolazione (quel potere di cui parlava Sam).
Cast efficace, sceneggiatura geniale,
regia ossessiva. Gli Oscar vinti sembrano confermare che arte
e popolarità qualche volta si incontrano.
Sitografia:
L’immagine è tratta da www.chicagotribune.com
Se foste interessati alla trama del
film, al cast completo e ai premi vinti, rimando a
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